Fratello documentario, come suggerisce il titolo, è un documentario su un fratello, o almeno così sembra. Fratello e sorella Canzi si filmano e vengono filmati fin da quando sono piccoli, quando mettevano in scena piccole storie e spettacoli casalinghi. Crescendo, il confine tra vita e finzione per i fratelli diventa sempre più sfumato, fino a dissolversi completamente. Cosa documenta, dunque, un documentario? La nuda vita è davvero lo spazio del realismo, o interpretiamo costantemente un ruolo? Il semplice sguardo di un osservatore esterno trasforma le nostre azioni in una grande performance? Sono queste alcune delle domande che emergono dal film di Diego Fossati, in un inestricabile intreccio di piani, tra veri e falsi sfondamenti della quarta parete, metateatro e post-verità.
In effetti, Michelangelo, il soggetto del documentario della sorella Valentina, è in costante ricerca del “vero”, della realtà. Nel frattempo, però, aspira a fare l’attore, quindi a rappresentare questo “vero” nella finzione. Ma la sua recitazione è terribile, e al provino tutti se ne accorgono, Michelangelo compreso. Forse, suggerisce implicitamente il film, è così terribile proprio perché tutta la sua vita è una grande finzione. Forse non vuole nemmeno realmente fare l’attore. Finge con la mamma, con la sorella, con la fidanzata e, soprattutto, con sé stesso, attraverso gesti e frasi di una gentilezza impacciata e stucchevole.
L’imbarazzante provino fa crollare questa costruzione mentale, svelando finalmente l’anima esasperata, crudele e perversa di Michelangelo. A quel punto, si sente smascherato e deve “eliminare” dal quadro qualsiasi testimone del proprio fallimento, per rimettersi così al centro dell’inquadratura e poter tornare a fingere.